“L’image volée” è una mostra collettiva curata dall’artista Thomas Demand, ospitata in un ambiente allestitivo progettato dallo scultore Manfred Pernice. La mostra occupa i due livelli della galleria Nord e il Cinema della sede di Milano.
“L’image volée” include più di 90 lavori realizzati da oltre 60 artisti dal 1820 a oggi. L’intento di Thomas Demand è di indagare attraverso la mostra le modalità con cui tutti noi ci richiamiamo a modelli preesistenti e come gli artisti hanno sempre fatto riferimento a un’iconografia precedente per realizzare le proprie opere. Esplorando i limiti tra originalità, invenzioni concettuali e diffusione di copie, “L’image volée” si concentra sul furto, la nozione di autore, l’appropriazione e il potenziale creativo di queste ricerche.
Il percorso espositivo presenta tre possibili direzioni d’indagine: l’appropriazione fisica dell’oggetto o la sua assenza, la sottrazione relativa all’immagine piuttosto che all’oggetto concreto e, infine, l’atto del furto attraverso l’immagine stessa. La mostra è stata concepita come un’esplorazione anticonvenzionale di questi temi, affrontati seguendo un approccio empirico. Piuttosto che una ricognizione enciclopedica, “L’image volée” offre una prospettiva inaspettata all’interno di un viaggio di scoperta e ricerca artistica.
Nella prima sezione sono raccolte fotografie, dipinti e film in cui l’oggetto rubato o mancante diventa un corpo del reato o la scena del crimine. Ci sono opere che richiamano più direttamente l’immaginario criminale, come la denuncia incorniciata da Maurizio Cattelan – Senza titolo (1991) – a seguito di un furto di un’opera immateriale, o Stolen Rug (1969), un tappeto persiano rubato su richiesta di Richard Artschwager per la mostra “Art by Telephone” a Chicago. Inoltre sono presentati lavori che evocano l’assenza, risultato di un furto, come la tela di Adolph von Menzel Friedrich der Grosse auf Reisen (1854), mutilata per ricavarne ritratti di minori dimensioni. Altri lavori, invece, si basano su un processo di alterazione di opere d’arte preesistenti, come Richter-Modell (interconti) (1987), un quadro di Gerhard Richter trasformato in un tavolino da Martin Kippenberger e Unfolded Origami (2016) di Pierre Bismuth che realizza una nuova opera a partire da poster originali di Daniel Buren. Questi lavori approfondiscono la nozione del controllo dell’autore sulla propria opera.
Nella seconda parte del percorso espositivo si analizzano le logiche dell’appropriazione all’interno del processo creativo. Si parte dall’idea di contraffazione e falsificazione, esemplificata dalle banconote riprodotte a mano dal falsario Günter Hopfinger, per poi approfondire le pratiche vicine alla cosiddetta Appropriation Art. In Duchamp Man Ray Portrait (1966) Sturtevant, ad esempio, rimette in scena il ritratto fotografico di Marcel Duchamp realizzato da Man Ray, sostituendosi sia all’autore sia al soggetto della fotografia. Altri artisti spingono la logica della contraffazione al limite, fino a impossessarsi dell’identità di un altro artista. Altre opere sono il risultato di alterazioni di lavori o immagini preesistenti come le défiguration di Asger Jorn o i collage di Wangechi Mutu, che includono illustrazioni mediche e disegni anatomici, e di artisti come Haris Epaminonda, Alice Lex-Nerlinger e John Stezaker che, nei loro lavori, inglobano cartoline, fotogrammi o immagini d’archivio. Altri autori come Erin Shirreff e Rudolf Stingel realizzano i loro dipinti o video usando come fonte una riproduzione fotografica di un’opera d’arte del passato.
Questa sezione prosegue con un insieme di opere in cui gli artisti prendono in prestito l’elemento visivo da un altro medium o linguaggio, oppure realizzano un atto di decontestualizzazione dell’immagine stessa. Thomas Ruff in jpeg ib01 (2006) altera un’immagine estratta dal web, Anri Sala in Agassi (2006) esplora le potenzialità del mezzo filmico nel rivelare dinamiche temporali nascoste, Guillaume Paris nel video Fountain (1994) ripropone in loop una breve sequenza del film di animazione Pinocchio (1940). Il percorso espositivo al piano terra della galleria Nord include inoltre lavori scultorei di Henrik Olesen e nuove opere realizzate da Sara Cwynar, Mathew Hale, Oliver Laric e Elad Lassry.
La terza parte della mostra è ospitata al livello interrato della galleria Nord, utilizzato per la prima volta come spazio espositivo. Quest’ultima sezione sovversiva di “L’image volée” affronta la questione della produzione di immagini che, per loro stessa natura, rivelano aspetti nascosti sul piano privato o pubblico. John Baldessari (Stati Uniti, 1931-2020) nell’installazione video Blue Line (Holbein) (1988) inserisce una telecamera nascosta che riproduce le immagini rubate del pubblico all’interno di uno spazio adiacente, mettendo in discussione il ruolo stesso dello spettatore. Sophie Calle nella serie The Hotel (1981) unisce nella sua ricerca il lato privato e artistico, rivelando dettagli intimi della vita di persone sconosciute. Un nucleo di lavori sviluppa una riflessione sul piano pubblico o apertamente politico.
Christopher Williams in SOURCE… (1981) rivela prospettive non ufficiali nella comunicazione istituzionale, selezionando da un archivio pubblico quattro fotografie di John Fitzgerald Kennedy che ritraggono il presidente americano di spalle e per questo giudicate all’epoca inadatte a essere diffuse.
Nelle fotografie Americas II, Bahamas Internet Cable System (BICS-1) e Globenet (2015) Trevor Paglen espone l’infrastruttura materiale della sorveglianza di massa, documentando il sistema interoceanico di cavi sottomarini che trasmettono dati sensibili. La terza sezione si chiude con una mostra nella mostra, curata da un importante designer industriale. Riunisce veri dispositivi di spionaggio usati dalla DDR e dall’Unione Sovietica per controllare i propri cittadini: strumenti tecnologici in grado d’infrangere le barriere della dimensione privata, selezionati per la bellezza del loro design razionale che anticipa quello dei computer e degli smartphone di oggi.
“L’image volée” è accompagnata da una pubblicazione illustrata edita dalla Fondazione Prada che include racconti inediti di Ian McEwan e Ali Smith, saggi di Russell Ferguson, Christy Lange e Jonathan Griffin e interventi di Rainer Erlinger e Daniel McClean.